1748 Matrimonio Clandestino a Veglie
«Veglie 1748 – Matrimonio clandestino celebrato tra Francesco Giannone de Mayoribus, dei nobili di Bitonto, e la contadinella Emanuela Russo, vergine in capillis, di Veglie»
di Antonio De Benedittis
“Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai”. Con queste parole i bravi di Don Rodrigo, nel 1628, minacciarono Don Abbondio per non fargli celebrare il matrimonio che era stato programmato tra Renzo Travaglino e Lucia Mondello.
Dopo 120 anni, nel 1748, si svolge a Veglie una vicenda che per certi aspetti gli somiglia: Don Francesco Giannone, detto don Ciccio, nobile vegliese, originario di Bitonto, orfano di padre, viene fortemente ostacolato dalla madre Agata Greco e dai fratelli a causa del matrimonio che intende contrarre con la vergine in capillis Emanuela Russo pure di Veglie, contadinella povera, orfana di entrambi i genitori, e ciò per restituirgli l’onore che gli aveva tolto. Ma la sua famiglia è irremovibile: Questo matrimonio non s’ha da fare”, continua a dire la madre.
Il motivo del dissenso da parte dei Giannone stava nella differenza di natali che c’era tra i due: don Ciccio apparteneva al ceto dei nobili, mentre Emmanuela era una popolana. Don Ciccio però non intendeva sentire ragioni essendo intenzionato a tutti i costi restituire l’onore ad Emmanuela perché quando: “… li diede parola di matrimonio ci avesse invocato in testimonio la Santissima Triade e altri Santi, e l’anime sante del Purgatorio…”.
Per raggiungere lo scopo che si era prefisso don Ciccio decide di superare, a modo suo, tutti gli ostacoli che si frapponevano causati dalla madre, dai fratelli e dal cugino Pasquale che lo sorvegliava di continuo a mano armata.
Con un curioso stratagemma riesce a sequestrare l’arciprete e il sagrestano ed a rinchiuderli entrambi in una stanza, e mentre questi cercano di conquistare la libertà, don Ciccio ed Emmanuela abbracciano l’arciprete che tenta invano di svincolarsi e gli gridano in faccia la loro ferma volontà di prendersi per marito e moglie, convinti che questa procedura fosse bastevole per legittimare un matrimonio irrituale.
Ma non era proprio così perché convocati il giorno dopo nella curia arcivescovile di Brindisi vengono scomunicati e carcerati.
È un duro colpo per i due i quali dopo pochi giorni riconoscono di aver ecceduto e chiedono perdono all’arcivescovo sottomettendosi allo stesso non prima però di aver chiarito che il loro gesto non era diretto contro la chiesa bensì contro i loro parenti che erano contrari al matrimonio.
L’arcivescovo accoglie la supplica e autorizza l’arciprete di Veglie a cancellare la scomunica imponendo però ad entrambi una serie di penitenze.
Appena effettuate le penitenze i due vengono autorizzati a sposarsi secondo il rito della Santa Romana Chiesa.
Il matrimonio verrà celebrato nella chiesa del Convento dal padre maestro Serafino Mazzarello. Sarà l’ultimo matrimonio che verrà celebrato in quella chiesa.